Articolo tratto dalla rivista "Diana Caccia" di Massimo Scheggi
Probabilmente il grand o il briquet griffon vendéen rappresentano, nell'immaginario collettivo dei cinghialai, lo chien courant più adatto nella caccia alla bestia nera, grazie alla sua mole, al suo mantello irsuto, alla seguita incessante, al suo ululato, che incute timore al cinghiale ma mette in soggezione anche i postaioli. I francesi del resto dicono che per un animale grosso ci vuole un cane grosso e che per di più abbia il fisico di ruolo.
Ad eccezione dei segugi italiani e del dachsbracke tutti i cani da seguita sono stati ridimensionati, quanto a numeri, nel 2004 rispetto all'anno precedente. Quindi anche gli chiens courants francesi. Gli ariégeois che da qualche anno avevano superato, quanto a iscrizioni al Roi e Rsr, i briquet griffon vendéen – per molto tempo i segugi francesi più diffusi in Italia – perdono quasi 200 effettivi per strada mentre il briquet, mantenendo quasi le posizioni del 2003, si riavvicina al collega transalpino. Grossa battuta d'arresto del petit bleu de Gascogne che passa da 550 iscrizioni del 2003 alle 329 del 2004. Piccola avanzata invece, ma grande in percentuale, dell'anglo-francese (da 122 a 145) e del porcelaine (da 96 a 143). Rimanendo alle due razze più diffuse c'è da dire che l'ariégeois viene impiegato da noi, come in Francia, indifferentemente sulla lepre come sul cinghiale, mentre il briquet griffon vendéen è un cane essenzialmente cinghialaio e sinceramente sarebbe anche un po' ridicolo vedere questo canone ululante inseguire una timide lepre.«È celebre in Gallia il detto che li somiglia – i cani celtici – al- l'uom che mendica alle porte, poiché hanno voce lamentabile e di pianto e non latrano cacciando, come fossero infuriati contro la preda, ma come angosciati e dolenti». Così Arriano di Nicomedia, autore di un Cinegerico e vissuto sotto l'imperatore Adriano nel II secolo dopo Cristo, scriveva dei segugi transalpini. Siccome questi segugi celtici, oggi si direbbe francesi, Arriano li definisce anche «irti e brutti a vedere», si potrebbe fare un accostamento con gli attuali briquet griffon vendéen. Per la voce io dico di sì, per la morfologia non saprei, anche perché sono passati quasi 2.000 anni da Awiano a noi e il briquet come lo conosciamo adesso è frutto di vari incroci (briquet in francese sta per il nostro bastardo o meticcio che dir si voglia) e vede la sua creazione a partire solo dagli anni Venti del secolo scorso. Magari si potrebbe trovare un riscontro con il grand griffon vendéen che è alla base della creazione del briquet, però credo che,anche in questo caso, si lavorerebbe troppo di fantasia. Ricordo peraltro, en passant, che di vandeani ne esistono anche altre due razze: il grand basset griffon vendéen e il petit basset griffon vendéen. La solita moltiplicazione dei pani e dei pesci effettuata dai francesi. Se quindi è difficile accostare la morfologia di cani così distanti nel tempo (anche perché non abbiamo raffigurazioni probanti), si può tuttavia dire che la voce degli chiens courants in genere è davvero ululata, cavernosa, a volte lamentosa, «angosciata e dolente», tipo quella di un mendicante. Vi avrò del resto già raccontato di come rimasi meravigliato, durante una cacciata al cinghiale nella tenuta della Mar-
siliana, al cospetto di una muta di vandeani, nell'udire la voce di un briquet che era tale e quale quella descritta da Arriano.
I vandeani hanno grande resistenza e sopportano bene il dolore: pelle spessa e pelo duro sono a volte una valida corazza contro le zanne del cinghiale
Le gesta dei vandeani me le rinnovella il giovane Gianluca Lerda che, insieme al padre Osvaldo, è titolare dell'allevamento dei Lupi del Grana in quel dì Caraglio, provincia di Cuneo. Gianluca, che alleva con successo anche ariégeois e anglo-francesi di piccola veneria, appartiene a una squadra famosa di cinghialai della Valle Maira. Dai suoi racconti traspare una grande passione e un grande amore per i cani. Ne abbiamo scelto uno (tagliando qua e la per esigenze di spazio) in quanto narra la seguita ma anche le disavventure di un briquet griffon vendéen che, come leggerete, dimostra proprio di avere il fisco di ruolo per cacciare il cinghiale. Ecco quanto ci scrive Gianluca.
«La stagione trascorsa e stata ricca di un ottimo carniere di 50 cinghiali, tutti begli animali. La soddislazione di tutta la squadra non è quella di fare la mattanza di selvatici, ma è come si catturano e come lavorano i nostri segugii. In una delle ultime giornate di caccia dei 2004. nella quale avevamo abbattuto 6 cinghiali, alla conta dei cani, la sera, ne mancava uno: Oscar. grande riproduttore vandeano il quale, in seconda cacciata nel pomeriggio, usato come unico capomuta con due giovani suoi figli, aveva scovato due cinghiali spingendoli fuori battuta e seguitando lungo il rifugio del Pajan, zona Valle Maira, dove i cìnghiali albergano da anni, in zone impervie e difficilmente raggiungibili dai battitori e anche dai cani. Tramite via radio so di mio padre che nell'altra battuta riesce a mandare alle poste diversi cinghiali, dei quali con buona sorte riusciamo a mandarne tre, mentre altri due riescono a scollinare e a ricercare la sicurezza nel rifugio faunistico, incalzati però dai vandeani. lo, recuperati due cuccioloni e messili nel carrello. mi dirigo di tutta corsa con il fuoristrada verso la direzione dei cani. Questa e una fase molto importante, quando il battitore cerca di fermare i segugi dalla seguita che porta fuori la zona di caccia. Ecco allora che subentra una figura della squadra importantissima, cioè uni cacciatore postaiolo che ha la conoscenza e l'esperienza dei territorio, dei passaggi degli animali, dove sentendo la voce incalzante della seguita capisce la direzione giusta nella quale si presume attraverseranno i segugi. Per la nostra squadra questo personaggio è Bertù (piemontizzato da Roberto) il quale è seguito nella stessa passione da Marisa, sua moglie, entrambi accaniti cinghialai delle nostre vallate. Bertù svolge anche le funzioni di caposquadra. insieme a mio padre e a me. Recuperare i segugi dalla seguita di un cinghiale è un'impresa non da poco, vivi una sensazione forte, inferiore solo di poco all'abbattimento del cinghiale. Mentre vado svelto sul fuoristrada, ti arrivano le direttive sul movimento dei cani: ora sono a metà costa, vanno verso la sagna (in pienwntese l'insoglio). Sento Diana e Zico con Luna più indietro, loro vanno verso la centralina (una cabina idroelettrica). Arrivo sul posto, provo ad appostarmi davanti al trattoio proprio della centralina, cammino lesto per arrivare alla posta dove Massimino, detto il sindaco (lo è davvero), aveva abbattuto il cinghiale in una cacciata precedente. Quando arrivo mi accorgo che le frasche erano sporche di fango. Capisco che il cinghiale era già passato e attraversato. Intanto sento il boato dei segugi che mi scendono uniti nella seguita con voce incalzante e cupa. In quei momenti l'adrenalina è a mille, la concentrazione è massima come quando stai per sparare al cinchiale. Devi individuare un punto preciso dove puoi essere addosso al cane, in modo che non possa divincolarsi facilmente. Ecco, il primo è Zico. Seguendo tutto naso a terra, mi esce proprio dalla fronda. spezza siepi e spini sulla strada del cinghiale. Gli urlo Zico e lui rallenta e io lo prendo al collare per legarlo al guinzaglio. Subito arriva anche Diana. molto scaltra e veloce pur nei suoi undici anni compiuti. Mi taglia sull'altro lato più pulito e come una freccia. continuando nella seguita, attraversa la strada asfaltata. riprende la traccia, salta il canalotto d'acqua e va là sul trattoio della centralina proprio come aveva detto Bertùr. Intanto arriva anche la Luna, sempre sulla strada di Zico. Facilmente mi obbedisce e lego anche lei. Con il recupero dei segugi, tornare a casa per festeggiare i cinghiali presi è una gioia ancora più bella. perché sei libero dal pensiero di doverli cercare e dalla preoccupazione di non averli recuperati. Oscar però ci fa stare in ansia, perché la sera di caccia, dopo le dovute ricerche, non è rientrato, ma l'indomani, rnentre si dividono i cinghiali, ci arriva una rasserenante telefonata: Oscar è stato trovato in una frazione di montagna adiacente alla nostra zona di caccia da un cacciatore di un'altra squadra di cinghialai della Valle Maira. Da noi la collaborazione tra cacciatori nel ritrovare i cani di una o dell'altra squadra è una priorità di educazione venatoria. Recuperato, il cane sale da solo nella gabbia del fuoristrada. Arrivato a casa il cane sembrava integro anche se affaticato, comunque tirava a guinzaglio, il mantello per di più era tutto bianco, lavato poiché nella sera di caccia c'era stata pioggia e nevischio.Lo metto in allevamento e il cane si accovaccia in cuccia. Il giorno dopo però Oscar non esce dalla sua casa, è mogio. Lo prendo piano piano per tirarlo fuori. Ha il naso asciutto e la febbre. Cerco di controllarlo bene pelo per pelo e sotto il costato l'indice della mano entra in una scanalatura di pelle tagliata. Un taglio di più di dieci centimentri con un buco profondo su cui la pelle si era appiccicata dopo la ferita. probabilmente per essersi accovacciato nella notte, magari al riparo di una roccia che evidentemente aveva tamponato la ferita che aveva al polmone. Portato d'urgenza in clinica, la dottoressa veterinaria del nostro allevamento rimane esterrefatta di come Oscar sia potuto sopravvivere a quel devastante taglio al polmone. Operato, non ci dà molte garanzie che superi il danno e ci prepara a qualunque avvenimento. Oscar rimane sotto osservazione in clinica, ma, per fortuna, già l'indomani dall'intervento, quando andiamo a vederlo, esce fuori dal lettino da solo per fare i suoi bisogni. Incredibile: io e mio padre che non abbiamo chiuso occhio per tutta la notte, avvisiamo subito Bertù per tranquillizzare anche lui. Oscar rimane ancora in cura di antibiotici, ma il pericolo più grave di non farcela nelle prime 12 ore è passato. La dottoressa parla di un cane miracolato. Aggiunge che il tessuto del polmone nel tempo si rimargina per via naturale. L'importante è che dalla ricucitura non fuoriesca dell'aria e l'edema vada via gradualmente. Così è stato e oggi Oscar è rimasto con la stessa grinta e forza di sempre, un grande vandeano che è anche un grande riproduttore. Questa è un'esperienza che mi ha lasciato sbalordito e naturalmente felice di come si è conclusa». Idem per noi