Articolo di Giancarlo Mancini tratto dalla rivista “Diana Caccia”
Tutto nasce dai viaggi estivi di Osvaldo Lerda, quando da ragazzino, nel Midì della Provenza (Francia ) in compagnia delle zie, conobbe dapprima i meravigliosi ariégeois, per cui, iniziato in Italia l’allevamento, ebbe subito dall’Enci l’affisso «dei Lupi del Grana». Dagli anni ’90, al lavoro di famiglia si è anche inserito il figlio Gianluca, impegnandosi a selezionare diverse linee di sangue di cani «capimuta» delle tre razze, che fa lavorare sia a lepre che a cinghiale, perché ha aggiunto anche i griffon vandéen
ed i petit anglo francesi. La passione scaturì perché 1’ariégeois, sul terreno di caccia, è un segugio di grande duttilità venatoria e dal perfetto collegamento al filo della traccia e da innato buon metodo,tanto che lo si può addestrare con facilità sia sulla lepre che sul cinghiale; se il ceppo di sangue è valido e proviene da soggetti selezionati nel lavoro, il risultato è sempre ottimale. Il segugio che sa condurre la traccia della lepre, sarà anche validissimo sul cinghiale a causa dell’emanazione più forte e della traccia, sull’uscita dalla pastura, unica e diritta.
Gianluca così ci ha spiegato il loro modo di allevare: «Sulla visione di diversi bravi soggetti, la nostra attenzione è sempre andata verso quel riproduttore con tante qualità riunite insieme, un Campione doc che deve avere buona voce in pastura, soprattutto se sono passate tante ore da quando il selvatico è fuggito dal covo, un cane che sulla passata non deve perdersi e se va in fallo, nel caso della lepre, è bene che riprenda il filo della matassa e vada allo scovo, anche mettendoci più tempo; la sua seguita sia sicura e incalzante, in modo consecutivo, tenendo la muta compatta e vigorosa. Oltre queste peculiarità, vogliamo che il carattere sia forte e non timido (per evitare la paura del colpo di fucile e della buscata da cinghiale) senza però essere mordace. Il riproduttore – continua Gianluca – deve dimostrarsi intelligente, tanto che nella situazione di tine battuta, ovunque si trovi, deve avere il senso di orientamento e rientrare sui suoi passi, dove è stato sciolto o sceso dalla macchina. In caso di ritardo, metteremo una coperta o un indumento che conservi il nostro odore, perché il cane, una volta che lo abbia rintracciato, rimanga ad attendere il nostro ritorno.
Quelle elencate – continua – sono solo alcune delle caratteristiche selettive che pretendiamo dal capomuta, che sia maschio o femmina e che viene scelto per la riproduzione, e solo così, il problema dello scarto e della non riuscita in un cucciolo, nato da genitori che portano diverse linee di sangue. sarà ridotto al minimo. Un allievo di sei-sette mesi d’età – puntualizza Gianluca che, sciolto nei terreni di caccia, dimostri un collegamento con il conduttore e l’ istintiva volontà di lavorare cercando la lepre, e poi, intorno ai 12-15 mesi, si dimostri attivo in muta nela caccia al cinghiale, è quello che ricerchiano nei prodotti del nostro allevamento». Gianluca dà anche alcune indicazioni per la sua educazione venatoria: «Per la lepre, il cucciolo si può anche far lavorare da solo, affinché tiri fuori il metodo di cerca sull’incontro e sempre col naso in terra, ma poi, dopo che abbia raggiunto una maturità psico-fisica e aver compiuto Fanno e mezzo d’età, si passa alla caccia al cinghiale, in genere con ottimi risultati. Questo perché l’allievo è stato introdotto gradualmente nel lavoro senza bruschi impatti, che bruciano sempre le innate qualità venatorie, come buscare nel recinto degli ungulati o altri disguidi del genere. Un punto della massima importanza
che l’addestratore-conduttore usi tanta pazienza massimatnente dia tempo al tempo, in modo che il giovane segugio possa esprimersi in base alla maturità e all’esperienza raggiunte con l’inserimento nella sua mente dei metodi d’addestramento che gli vengono impartiti». Bisogna quindi essere orgogliosi – continua il nostro interlocutore – per ogni piccolo progresso del cucciolone (per esempio: saltare i fossi, evitare gli intralci dei rovi spinosi, sapersi difendere nel bosco più fitto ecc.) senza per questo pretendere che faccia il fenomeno fin dai primi tetripi della scuola. Noi siamo soliti dire che il segugio è lo specchio dei cacciatore che lo sta addestrando, per cui, se non lo segui con cuore e passione, non potrai mai pretendere che all’apertura della caccia ti scovi la lepre o rimanga legato in muta durante la canizza al cinghiale. Insomma – conclude Gianluca – il segugio è come un figlio ed il sacrificio di seguirlo e di aiutarlo nella crescita sarà contraccambiato dal suo affetto e dalla certezza della riuscita venatoria».